Parlare di epoca nuragica significa parlare dell'unica civiltà davvero autoctona della Sardegna. O meglio, di quella che in Sardegna arrivò e si consolidò nella sua lingua e nelle sue tradizioni e nella sua unica ed irripetibile architettura per un paio di secoli prima dell'invasione fenicia, punica e poi romana. Parlare di epoca nuragica significa andare a fondo nella storiografia e chiedersi: da dove provenivano i nuragici? Ci raccontano gli storiografi romani che tre furono le ondate di genti che popolarono la zattera di pietra in mezzo al mare già abitata nei secoli precedenti dalle popolazioni megalitiche e tirreniche presenti in tutta Europa.
«Diversi elementi onomastici sardi richiamano a nomi di luogo iberici, non soltanto nelle radici (che spesso hanno una diffusione panmediterranea) ma anche nella struttura morfologica delle parole, per esempio: sardo: ula-, olla-; iberico: Ulla; sardo: paluca, iberico: baluca; sardo: nora, nurra, iberico: nurra; sardo: ur-pe, iberico: iturri-pe. A ciò si aggiunge un fatto che, per il numero delle concordanze, non può assolutamente considerarsi casuale ed appare di altissimo interesse: l'esistenza, cioè, di specifiche analogie tra elementi del patrimonio lessicale della lingua basca e singoli relitti lessicali o voci toponomastiche sarde: Esempi:
(La Sardegna nuragica, Massimo Pallotino - a cura di Giovanni Lilliu. Ilisso edizioni, 1950, pag 96.) Parlare di epoca nuragica vuol dire trattare un argomento vastissimo ancora tutto da scoprire nonostante gli studi immensi fatti in primis dal Professor Lilliu che scoprì negli anni '50 l'imponente Su Nuraxi a Barumini, Patrimonio Mondiale Unesco dal 1997 , considerando anche la non conoscenza della scrittura da parte dei nuragici, portata poi dai Fenici e quindi la mancanza di tradizione scritta originale. Ci aiutano a capire come fosse strutturata la civiltà nuragica proprio i Nuraghe (la radice “NUR” che vuol dire cavità o anche cumulo di pietre ma riecheggia anche il nome di Norace) ed i bronzetti che ci raccontano di una civiltà piramidale in cui il potere era detenuto da una casta militare e sacerdotale che coordinava dalla sua torre di controllo la popolazione di mestieri che abitava nelle capanne intorno al nuraghe. Più in là le tombe dei giganti, luogo sacro dove si seppellivano in maniera comunitaria i membri della popolazione e dove, nell'esedra a forma di corna di toro (le stesse corna del Dio Toro che si ritrovano, nelle domus de janas, tombe paleolitiche) si praticavano riti magici come l'incubazione. Accanto al villaggio e alla sua fonte d'acqua, poi, il pozzo sacro, con la sua scala a dromos e la sua cavità a forma di chiave del cosmo, in cui, ad intervalli prestabiliti dall'astronomia ben conosciuta dai nuragici come da moltissime popolazioni mediterranee ed oltre del tempo, il sole o la luna filtravano i loro raggi con esattezza millimetrica. Qualche anno fa il divulgatore Roberto Giacobbo, con qualche imprecisione nel suo metodo evocatico del raccontare, dedicò un'intera puntata alla Sardegna e alla sua storia. #to read.
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Agosto 2019
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