"Noi rimaniamo qua a presidiare il territorio", sento dire ad un abruzzese dopo le ultime scosse di terremoto intendendo l'importanza di rimanere la', a guardia delle bestie e degli alberi e del cielo e delle stelle, senza scappare, senza abbandonare. Presidiare il territorio e' una dichiarazione d'intenti che rimarrà scolpita nel mio cuore per molto perché mi ha spiegato, con la sua schietta verità, perché molti, pur vivendo in territori remoti, disagiati e, a volte, maledetti, dove nulla sembra andare avanti se non il ripetersi ciclico delle stagioni, non se ne vanno. Non abbandonano i remoti paesi natii, no, perché sentono di essere non solo abitanti di quel luogo, ma di ricoprire una carica ben più nobile: sentono di esserne i guardiani. Di essere stati eletti dalla Vita a proteggere quelle lande desolate e difficili altrimenti lasciate a se stesse o, nella peggiore delle ipotesi, ad esseri umani interessati a depredarle o a sfruttarle. Abitare in luoghi remoti in Abruzzo o in Sardegna vuol dire, oggi, non piegarsi al canto delle sirene cittadine, alla vita più facile e più ricca di opportunità. Vuol dire attaccarsi come un albero con le radici alla propria terra e, come un albero fa con le radici, non lasciare che quella terra smotti, che si perda. Vuol dire conservare tradizioni e lingue che fanno la bellezza di quei luoghi. Vuol dire sentirsi responsabili della terra e del mare che ci ha messi al Mondo. Vuol dire mantenere una promessa che si e' fatta ai profumi e ai colori che ci hanno cresciuto. Vuol dire impegnarsi, annaffiare, curare, lottare. Essere fieri, forti. Guardare le difficoltà e non scappare. Ode a coloro che non abbandonano i remoti paesi natii. E' cronaca che il Sulcis, da me amatissimo per ragioni private, nonostante un centinaio di migliaia di abitanti su un pezzo di terra fertile nutrita di lembi di mare spettacolari, vigneti a piede franco, resti archeologici millenari, grotte meravigliose e profumi intensi di una rigogliosa vegetazione, sia ancora una volta annoverata fra le province più povere d'Europa. C'è chi dice la più povera. Cosa è andato storto? Come è possibile che si sia arrivati a tutto ciò dopo decenni di chiacchiere e riflessioni sulla riqualificazione di un territorio per breve tempo vocato all'industria, ma oggi aperto a qualunque opzione produttiva date le sue enormi potenzialità? Il flusso migratorio che ogni mese vede partire centinaia di giovani sardi verso il Continente, l'Europa o il Mondo, è impressionante. Lo raccontano in maniera goliardica, i numerosissimi circoli dei Sardi che ci sono sparsi in ogni città del globo, i cognomi che spesso ritornano nelle nuove generazioni nate altrove, ma di chiara desinenza isolana. Anche quelli meno ravvisabili come il cognome dei miei vicini di casa d'infanzia, i Signori Mascia, che noi leggevamo con l'accento sulla a, a mò di "àscia", ma che oggi so si legge mascìa, con la "sc" di "scevro" e l'accento sulla i. Allora, ode a coloro che non abbandonano i remoti paesi natii, che provano a creare innovative start-ups: birrifici (Birrificio Rubiu), conserve di frutta (Bon'ora Conserve), cooperative di escursioni turistiche (Bitan Daily Tours), bed&breakfast ecologici e vegani (B&B Gaulos), autonoleggi (Sulcis Autoservizi), borse (Carlottina Lab Borse) e gioielli artigianali (La ragazza del Fico d'India gioielli). #toread Addio, Angelo Ferracuti, Chiarelettere - Il romanzo della fine del lavoro.
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Agosto 2019
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