La Sardegna ha le ossa molto antiche. Delle rocce emerse La Sardegna è terra antica sì e parecchio. Per alcuni è addirittura Atlantide (si veda il post @LiSola "Sardegna è Atlantide"), per altri semplicemente una terra primordiale e magica dove chi ha sviluppato empatia e ricettività verso la Natura sente un flusso energetico fortissimo e potente. Già i primi abitanti dell'era neolitica avevano costruito le loro Domus de Janas ("case delle fate" n.d.A.) nella roccia, tombe scavate negli ipogei della terra alla quale affidavano i loro morti e la suggestione che l'energia femminile e maschile vi pulsasse. Dipinti sui muri potrete trovare, esplorando una delle migliaia di Domus de Janas, pitture concentriche a raffiugurare l'acqua, la dea madre, e pitture a forma di corna di toro, il dio virile. Quella di Sant'Andrea Priu, vicino a Bonorva, conserva addirittura 18 camere ed è considerata, a tutti gli effetti, una delle necropoli più vaste d'Europa. Così come nelle splendide Tombe dei Giganti, vestigia funerarie dell'era nuragica, con le loro porte immense, viatico per un al di là che si trova nella profondità della terra. Potente è anche l'energia che molti sentono scendendo le scalinate, il dromos, dei pozzi sacri nuragici, come quello magico e ancora ben conservato di Santa Cristina, vicino ad Oristano. Chiavi fra il cielo e la terra, porte di luce e di acqua che si aprono durante gli equinozi quando la luce del sole cade perfettamente nell'incavo sotterraneo dei pozzi. I nuraghe stessi furono costruiti con pietre edificate a secco, pietre dentro le quali si ergeva il centro nevralgico del potere e della comunità. Di pietra sono i Giganti di Mont'e Prama, scoperti negli anni '70 e diventati oggi una delle più grandi attrazioni turistiche della Sardegna con quella loro enigmatica presenza e con quel loro sguardo da e verso l'altrove, mistici quanto i Kolossoi greci e i Mohai dell'Isola di Pasqua. Nelle viscere della terra ha vissuto fino a poco più di qualche decennio fa anche il Bue Marino in quella grotta incastonata fra le splendide cale d'Ogliastra (si veda il post @LiSola "Cale d'Ogliastra") che porta il suo nome. E' di pietra la scultura, meravigliosa, che Ciusa fece ricordando la passione già presente in un bronzetto nuragico e anche nella Pietà di Michelangelo e che lui chiamò La madre dell'ucciso. Infine, ma forse come somma di tutto ciò, la straordinaria storia artistica del compianto maestro Sciola che come un rabdomante dell'energia delle pietre nel suo Giardino Sonoro a San Sperate ha raccolto i millenni dei suoni evocati dalle pietre stesse che assomigliano alla stessa sostanza di cui sono fatti i sogni.
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Parlare di epoca nuragica significa parlare dell'unica civiltà davvero autoctona della Sardegna. O meglio, di quella che in Sardegna arrivò e si consolidò nella sua lingua e nelle sue tradizioni e nella sua unica ed irripetibile architettura per un paio di secoli prima dell'invasione fenicia, punica e poi romana. Parlare di epoca nuragica significa andare a fondo nella storiografia e chiedersi: da dove provenivano i nuragici? Ci raccontano gli storiografi romani che tre furono le ondate di genti che popolarono la zattera di pietra in mezzo al mare già abitata nei secoli precedenti dalle popolazioni megalitiche e tirreniche presenti in tutta Europa.
«Diversi elementi onomastici sardi richiamano a nomi di luogo iberici, non soltanto nelle radici (che spesso hanno una diffusione panmediterranea) ma anche nella struttura morfologica delle parole, per esempio: sardo: ula-, olla-; iberico: Ulla; sardo: paluca, iberico: baluca; sardo: nora, nurra, iberico: nurra; sardo: ur-pe, iberico: iturri-pe. A ciò si aggiunge un fatto che, per il numero delle concordanze, non può assolutamente considerarsi casuale ed appare di altissimo interesse: l'esistenza, cioè, di specifiche analogie tra elementi del patrimonio lessicale della lingua basca e singoli relitti lessicali o voci toponomastiche sarde: Esempi:
(La Sardegna nuragica, Massimo Pallotino - a cura di Giovanni Lilliu. Ilisso edizioni, 1950, pag 96.) Parlare di epoca nuragica vuol dire trattare un argomento vastissimo ancora tutto da scoprire nonostante gli studi immensi fatti in primis dal Professor Lilliu che scoprì negli anni '50 l'imponente Su Nuraxi a Barumini, Patrimonio Mondiale Unesco dal 1997 , considerando anche la non conoscenza della scrittura da parte dei nuragici, portata poi dai Fenici e quindi la mancanza di tradizione scritta originale. Ci aiutano a capire come fosse strutturata la civiltà nuragica proprio i Nuraghe (la radice “NUR” che vuol dire cavità o anche cumulo di pietre ma riecheggia anche il nome di Norace) ed i bronzetti che ci raccontano di una civiltà piramidale in cui il potere era detenuto da una casta militare e sacerdotale che coordinava dalla sua torre di controllo la popolazione di mestieri che abitava nelle capanne intorno al nuraghe. Più in là le tombe dei giganti, luogo sacro dove si seppellivano in maniera comunitaria i membri della popolazione e dove, nell'esedra a forma di corna di toro (le stesse corna del Dio Toro che si ritrovano, nelle domus de janas, tombe paleolitiche) si praticavano riti magici come l'incubazione. Accanto al villaggio e alla sua fonte d'acqua, poi, il pozzo sacro, con la sua scala a dromos e la sua cavità a forma di chiave del cosmo, in cui, ad intervalli prestabiliti dall'astronomia ben conosciuta dai nuragici come da moltissime popolazioni mediterranee ed oltre del tempo, il sole o la luna filtravano i loro raggi con esattezza millimetrica. Qualche anno fa il divulgatore Roberto Giacobbo, con qualche imprecisione nel suo metodo evocatico del raccontare, dedicò un'intera puntata alla Sardegna e alla sua storia. #to read.
Badate che l'emblema dei Quattro Mori non rappresenta, come si dice, i quattro Giudicati in cui la Sardegna era divisa otto novecento anni fa, quando era libera ed indipendente: si tratta di un errore di interpretazione storica, e dunque non è ne ovvio né obbligatorio scegliere proprio questo stemma. Che è, sì, uno stemma popolare e consacra la tradizione plurisecolare della Sardegna, come detto nell'ordine del giorno, ma non è quello sardissimo come si è soliti immaginare" Chi sono davvero i Quattro Mori? Me la fate sempre questa domanda, che voi siate turisti o amici che ormai vogliono sapere tutto della Sardegna e della sua storia millenaria al di là dei soliti luoghi comuni di mare cristallino, maialino arrosto e mirto. La storia dei Quattro Mori e, in generale, della bandiera sarda, è molto meno lineare, di quanto si possa pensare. Prima di tutto c'è da sapere che passati i nuragici, i fenici, i cartaginesi, i romani ed i bizantini, la Sardegna nel Medioevo si auto organizzò in quattro Giudicati, quattro aree in cui il territorio venne diviso per essere organizzato. Diremmo l'unico momento in cui i Sardi hanno governato la propria stessa terra. Prima e dopo, sono stati sempre colonizzati e governati. C'è chi vuole vedere proprio nella suddivisione in quattro della bandiera, i quattro Giudicati in cui era divisa l'isola in quel periodo, ma non è così. La prima ragione è che la bandiera originaria del Giudicato d'Arborea, il più importante e quello che diede vita alla famosa Carta de Logu che coordinò anche successivamente sotto gli Aragonesi la vita amministrativa, civile e penale dei Sardi, era una bandiera agreste, arborea. La seconda è storica: la più antica attestazione dell'emblema risale al 1281, al sigillo della cancelleria reale di Pietro III d'Aragona dopo che la Sardegna entra a far parte della Corona d'Aragona. La bandiera dunque è di origine medievale, è composta dalla Croce di San Giorgio e da quattro teste di moro bendate, rappresentanti i quattro re saraceni sconfitti dagli aragonesi durante la battaglia di Alcoraz avvenuta in Spagna La tradizione spagnola la considera una creazione di Re Pietro I di Aragona, quale celebrazione della vittoria di Alcoraz (1096). La vittoria sarebbe stata ottenuta grazie all'aiuto di San Giorgio (il cui stendardo era una croce rossa su sfondo bianco), il quale sarebbe intervenuto lasciando poi sul campo le quattro teste recise dei re saraceni (quattro mori). La tradizione sardo-pisana lega lo stemma al leggendario gonfalone dato da papa Benedetto VIII ai Pisani in aiuto dei sardi contro i saraceni di Musetto, che cercavano di conquistare la penisola e la Sardegna. Sulla benda che a volte copre gli occhi dei Mori, o ne fascia il capo, non ci sono spiegazioni attendibili se non che si trova la raffigurazione di entrambe storicamente. Così come sugli emblemi usati dalla Regione Sardegna stessa, modificati negli anni anche sul verso in cui si volge lo sguardo dei quattro. Le spinte indipendentiste catalane, corse, irlandesi, hanno simili origini. Quando un popolo si riconosce sotto una bandiera propria, una lingua propria e non in quella della nazione a cui appartiene, tutto è più complicato. Sardinia Natzioni, Italia Fratzioni (Sardegna nazione, Italia frazione, n.d.a.) Per approfondire: #to read Wikipedia, wikipedia.org/wiki/Bandiera_dei_quattro_mori Regione Sardegna www.regione.sardegna.it/Storia dello Stemma Ora che la Brexit è un dato di fatto, vi toccherà virare in Sardegna per vedere i circoli megalitici.
Eh sì, perchè la pur suggestiva Stonehenge non è nulla in confronto alla quantità e qualità de is perdas fittas (le pietre fitte, i menhir) che si trovano qui. Ma andiamo per ordine. La Sardegna e la Corsica cinquemila e più anni fa erano geograficamente (e difatti lo sono anche geologicamente) prossime al sud della Francia e alla Toscana. E' per questo che le popolazioni megalitiche che troviamo nel resto del continente europeo si espressero anche su quella che poi diventò un'isola in mezzo al mare profondo. L'uso dell'ossidiana, l'oro nero del mesolitico, ritrovata per la prima volta sul Monte Arci, nell'oristanese, segna l'inzio della storia che parla di Dolmen e Menhir (ad uso tombale), circoli megalitici (ad uso funerario ma anche astrologico) e Domus de Janas (non più pietre, ma tombe in grotte artificiali). A me hanno sempre colpito due cose di tutto ciò, quando sono di fronte a queste pietre, a questa primordialità. La prima sta sui menhir. Quando li guardi non sono affatto tutti uguali. Una tipologia ha delle cavità, definite dagli studiosi, coppelle, che stanno a identificare il femminile. Altri hanno inciso una sorta di corna o boomerang e un pugnale: il maschile, le corna del Dio Toro. La seconda sta dentro le domus de Janas. Le corna del Dio Toro tornano anche qui, eccola la fertilità maschile. E il femmineo? la Dea Madre? impossibile non vederla nelle spirali, acqua che diventa torbida, scorre e dà vita. Una divinità duale che, come in tante altre culture e religioni, ha bisogno degli opposti che si compenetrano per formare il cerchio vitale. Più avanti, con la popolazione nuragica, alcuni di questi elementi verranno ripresi. Le Tombe dei Giganti hanno, infatti, una struttura che ingloba la "porta" del sepolcro fatta da una pietra che è, in tutto e per tutto, il ricordo di un dolmen. E hanno dinnanzi un'esedra che ha la forma geometrica delle corna del Dio Toro. Anche il pozzo sacro, serratura sul mondo dell'acqua, è un'architettura votiva fatta per custodire e celebrare i vortici della fonte d'acqua della Dea Madre. Ulteriore ed ultima fascinazione, l'altare di Monte d'Accodi, vicino a Sassari, una vera e propria ziqqurath mesopotamica riadattata in chiave prenuragica, unica ed irripetibile in tutto il Mediterraneo. #tovisit -Museo dei Menhir, Laconi - http://menhirmuseum.it/ -Parco archeologico di Goni, località Pranu Mutteddu - http://www.pranumuttedu.com - Area archeologica di Montessu, Villaperuccio - http://www.parcogeominerario.eu #toread -Laconi, il Museo delle Statue Menhir, Enrico Atzeni, Sardegna Archeologica, Carlo Delfino Editore. Da questo libro sono tratte le due foto dei menhir, con esaustive riproduzioni, che riporto a bordo blog. -Seguite l'interessante catalogazione di Nurnet che da qualche tempo fotografa e commenta tutti i siti archeologici della Sardegna. www.nurnet.it |
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